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Andreoli: Viviamo paralizzati dalla paura, bruciando affetti e relazioni. E’ il tempo dell’Homo Incertus

Andreoli: Viviamo paralizzati dalla paura, bruciando affetti. E’ il tempo dell’Homo Incertus

“Abbiamo perso la speranza nel futuro. Viviamo solo nell’oggi, un tempo presente dominato dalla paura. E’ il tempo dell’insicurezza, dell’Homo Incertus”. Così Vittorino Andreoli racconta il mondo attuale. E Homo incertus è anche il titolo del suo ultimo libro. Un volume che lo psichiatra ha raccontato in una lunga intervista all’Huffingtonpost.

”È un’insicurezza paralizzante che ci investe dentro di noi e fuori di noi. Il risultato è un uomo che finisce per vivere malissimo e per non fare nulla, che non ha nemmeno più il coraggio di agire. Il coraggio è una parola importante che si lega alla paura: bisogna avere paura per aver coraggio, ma se la paura è in eccesso e diventa panico, non ci si muove più”.

Un mondo difficile, quello che illustra Andreoli. Un mondo che incontriamo ogni giorno. In cui la paura genera lotta e conflitto.

“Pensiamo alle lotte nei condomini, nelle scuole, dove i genitori picchiano gli insegnanti. C’è un mondo fuori di noi in cui non c’è nulla che ci rassicuri. Ditemi un posto dove poter star tranquilli. Neanche i templi di Dio. Ho un grande rispetto per le religioni, perché conosco il bisogno dell’uomo di compensare le difficoltà della vita con modi che siano un po’ più giusti, ma le Chiese sono diventate un pericolo anch’esse oppure ci sono Chiese dove non si respira più il Trascendente. Sono chiuse”.

Ma a rendere difficili le cose sono anche le relazioni interpersonali. Relazioni che sono lo specchio dei tempi in cui viviamo.

“Consumiamo i sentimenti come un tempo si consumavano le scarpe. Si buttano via rapporti di anni: con questo non voglio dire che le relazioni debbano essere perenni, ma ci se ne libera con troppa facilità. Mi sembra si sia perso il senso dei legami: uno dice ‘non mi trovo più con quello o quella e chiudo”

Esiste per Andreoli un via di uscita? Lo studioso non si nega la speranza. Ma che necessariamente deve passare attraverso l’uomo. La sua capacità di ritrovare sé stesso.

“Dobbiamo ritrovare un’economia del fare del bene. La soddisfazione, la gratificazione di per-donare, nel senso di dare qualcosa di sé. Ritrovare il senso dell’altro, non avere la cultura del nemico. Bisogna fare questa rivoluzione pacifica dentro di noi”.

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