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Suor Anna Monia Alfieri: “Scuole paritarie poco utilizzate. Dispersione, dati drammatici”

La nota religiosa è intervenuta ai microfoni di Radio Amore Campania.

Suor Anna Monia Alfieri, religiosa delle Marcelline, laureata in Giurisprudenza e in Economia, è una delle personalità più importanti che si battono per il diritto all’istruzione. Ieri è intervenuta ai microfoni di Radio Amore Campania nel corso della trasmissione “La scuola va in… Bianchi”, condotta dal giornalista Luca Cirillo. In studio la dottoressa Giovanna Scala, dirigente scolastico dell’Istituto Isabella d’Este Caracciolo di Napoli, settore moda, e Antonio Scarpellino, segretario generale FederIstruzione.

La pandemia ha evidenziato una vera e propria priorità educativa. Quali azioni vanno intraprese secondo lei?

“Proprio oggi ascoltavo l’intervento di Bianchi, il quale faceva presente che la scuola che ripartirà non sarà più quella del pre-covid. Ha citato due aspetti da colmare: la dispersione scolastica e la povertà educativa. E’ evidente che il Covid ha portato in superficie questi grossi limiti. Una deprivazione culturale che si impenna, una dispersione scolastica in Italia pari al 13.5 % contro il 10% dell’Europa. Dispersione scolastica che tocca picchi del 27% al sud. 34mila alunni hanno abbandonato la scuola in questo periodo di Covid. Si contano 160mila abbandoni che verranno registrati a settembre 2021/2022, quindi davvero i numeri sono allarmanti come lo è il divario tra nord e sud sempre più acuito”

Suor Anna ricorda le parole di Draghi quando, nel 2007, da presidente della commissione della Banca d’Italia, definì questo aumento “l’anticamera della povertà economica”, quindi il Covid ha riportato in superficie problemi già esistenti.

“Che cosa si può fare in queste ore? Credo che in Italia c’è stato già un giro di boa con il nuovo governo, queste erano performance negative del pre-covid e il Covid le ha riportate alla luce. Ma per superarle bisognava fare i conti con una necessità. Qual era? Quella di un governo di unità nazionale che potesse mettere in campo tutte le forze politiche di destra e sinistra nella più ampia trasversalità per riuscire ad infrangere quei poteri che negli anni hanno impedito questa riforma, potere politico, sindacale e burocrazia e solo con una trasversalità politica poteva ottenerlo, e doveva ottenerlo in un momento in cui siamo impegnati ad investire i fondi del recovery plan, cioè somme prese a debito che servono, non per dei sussidi, ma per far ripartire il paese, per creare quelle premesse che i giovani  un domani potranno restituire.

Il paese riparta dalla scuola, quindi le prime operazioni da compiere è cercare di salvare il sistema scolastico nelle aree delle periferie, del centro sud, non possiamo perdere i presidi scolastici, presidi di libertà delle periferie e del centro sud.

Nel discorso di insediamento del premier Draghi si è proprio puntato sulla formazione dei docenti, sulla povertà educativa, sulla riduzione delle diseguaglianze, dare le pari opportunità, ricucire il paese e tenerlo unito, perché in queste ore io credo che l’idea che questo paese fosse stato diviso da questa pandemia con una deprivazione culturale acuita nel sud abbia avuto anche un elemento che abbia pesato molto su un governo di unità nazionale. Perché si capisce qual era l’emergenza.

Noi abbiamo ottenuto tanti fondi dall’Europa non perché siamo stati bravi ad ottenerli, ma perché ne abbiamo proprio bisogno, perché siamo messi male.

Quando a marzo è stata chiusa la scuola, tutti quanti abbiamo dichiarato che la scuola non era stata chiusa a causa del covid. In Italia abbiamo una penuria di aule, di trasporto, di carenza di organico perché c’è un sovra utilizzo delle statali e un sub utilizzo delle paritarie. La cosa più elementare, più semplice, più scontata da fare era non perdere tempo ulteriore, utilizzare le 40mila sedi scolastiche statali e le 12mila paritarie per tenere aperte le scuole quanto era possibile, superando così il problema del distanziamento nelle aule, nei mezzi di trasporti e nella carenza d’organico perché non si è voluto fare.

Si è sottovalutato il problema, è subentrata una scarsa competenza, una, quasi nulla, conoscenza della realtà mista ideologia, quindi ci hanno fatto perdere un’occasione per i nostri ragazzi. Con dei risultati drammatici, perché i ragazzini che abbandonano la scuola non vanno nei campi a lavorare come facevano i nostri nonni, diventano preda della malavita, della camorra e della mafia”.

Ci parli del suo studio tra i giovani che sta conducendo da tempo

Il covid può diventare quel cigno nero, quell’opportunità che permette finalmente in Italia di far sì che la scuola statale e paritaria, quindi la scuola pubblica, sia una scuola per tutti. Ricordiamo che la scuola è il luogo dell’emancipazione, della formazione, della conoscenza e soprattutto è l’unico strumento che permette di ridurre le disparità sociali ed economiche. Da questo questionario che noi abbiamo lanciato hanno aderito circa 568 giovani, sono numeri importanti.
Abbiamo voluto chiedere per renderci conto di che cosa è successo in tempo di pandemia. Il 10% degli intervistati dice che qualcuno in famiglia ha perso il posto di lavoro, ma il 34 % dice che il padre è l’unico che lavora (considerando che al sud abitualmente è l’unico che mantiene la famiglia) non è un dato scontato.

Quando abbiamo chiesto ai ragazzi se si trovano di fronte a difficoltà e se i loro genitori riescono a sostenerli (la Dad ha ristabilito un ruolo educativo dei genitori) e che non tutti i genitori hanno gli strumenti, le competenze, la preparazione per accompagnare i figli, il 71% dice di sì, ma molti sono collocati al nord, molti del sud, il 22% risponde di no o risponde a volte, e questo è un problema.

Alla domanda su quale strumento si fa uso per la Dad il 70% dice il computer, il 9,7% dice il tablet, ma il 20,3% dice il cellulare, ovvero quello dei genitori.

Oggi in Italia, se sei sfortunato a nascere nella regione sbagliata o nella famiglia con poche condizioni economiche sei destinato a rimanere povero, ed è una cosa che non possiamo assolutamente permetterci perché non c’è niente di sbagliato, nessuna regione è sbagliata, nessuna famiglia lo è. E’ semplicemente un guaio non aver dato le medesime opportunità che colmano le difficoltà dei deboli, non è possibile continuare a discriminare per ragioni economiche. Noi ci battiamo per superare qualsiasi disparità. Pensate che questo avviene soltanto in Italia e non in Europa”.

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