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Rischio burnout, identikit del docente malato: cosa accade dopo 10 anni di servizio

Rischio burnout, identikit del docente malato: cosa accade dopo 10 anni di servizio. “Le scuole secondarie di primo e secondo grado continuano a rappresentare i contesti più stressanti per gli insegnanti. A livello nazionale poi, il Nord sembra essere più stressato in termini di insegnanti rispetto al Sud. Gli insegnanti del Sud e delle isole sembrano avere strategie di sopravvivenza maggiori, attribuibili probabilmente alla migliore qualità di relazione tra i colleghi”.

Lo spiega alla DIRE Caterina Fiorilli, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute e il benessere degli insegnanti (Onsbi).

Burnout, più stress al Nord

“C’è un maggiore scollamento nei contesti del Nord- chiarisce la docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione alla Università Lumsa- in quello che è il tessuto relazionale tra gli insegnanti. Il Nord forse risente di più di insegnanti che rimangono poco tempo nei vari contesti scolastici, a seguito dei trasferimenti e della necessità di tornare nelle proprie regioni di provenienza. È noto, difatti, che gli insegnanti siano prevalentemente del Sud- ricorda Fiorilli-, che ci sia un movimento dal Sud verso il Nord con il conseguente tentativo di tornare. In questo movimento gli insegnanti non sono stanziali e ciò non aiuta la qualità delle relazioni fra i colleghi, che poi è senz’altro una delle misure principali per aiutare i docenti. Favorire il supporto e l’autoaiuto è uno strumento fondamentale per la resistenza allo stress”.

Qual è l’obiettivo dell’Onsbi?

“Monitorare lo stato di salute e di benessere degli insegnanti sul territorio nazionale- continua il direttore dell’Osservatorio- perché il tema della salute e del burnout è di grande attualità. Gli insegnanti sono sottoposti alle molteplici richieste da parte degli studenti, che richiedono un alto livello di competenze del corpo docente. Mi riferisco ai disturbi di vario tipo che i ragazzi possono portare nel contesto classe– precisa- mi riferisco a bambini che portano le diversità maggiori dovute per esempio ai contesti familiari, alle etnie di provenienza,  alla lingua differente”.

“Potrebbero, infatti, non avere la lingua madre italiana e questo porta maggiori richieste agli insegnanti, per non parlare di quei comportamenti ad alto rischio di bambini e ragazzi ‘aggressivi’, che fanno sì che l’insegnante debba essere pronto a fronteggiare più richieste di tipo emotivo e socio-relazionale che non disciplinare. L’Osservatorio nasce per questo- afferma Fiorilli- vuole dare una risposta agli insegnanti, ai contesti scolastici, ma anche alle famiglie e agli studenti, lì dove i livelli di fatica nel fare l’insegnante diventano tali per cui il docente non ha più gli strumenti per poter affrontare certe situazioni”.

Chi è l’insegnante a rischio burnout?

“Potremmo provare a fare un identikit, anche se sarà evidentemente troppo sintetico, ci sono molte differenze. La letteratura internazionale, e noi lo abbiamo confermato nel caso delle insegnanti, ci dice che l’insegnante che ha più di 10-15 anni di esperienza è maggiormente a rischio. Si inizia una carriera con maggiore entusiasmo e risorse, poi però arrivano i fallimenti professionali- sottolinea la professoressa di Psicologia dello sviluppo- che non sono dovuti all’incompetenza del docente, ma al fatto che ci sono moltissime richieste e non sempre si è pronti”.

“Spesso gli insegnanti sono disarmati rispetto a delle richieste che non sono meramente disciplinari. L’insegnante dopo 10-15 anni prova questo senso di fatica– continua Fiorilli-, in genere lo provano di più le donne che gli uomini e gli insegnanti di scuola secondaria. Sono più soggetti allo stress, inoltre, gli insegnanti che possono avere a loro svantaggio il fatto di coinvolgersi molto, per questo motivo le donne sono particolarmente esposte. Il coinvolgersi molto nell’attività professionale pone gli insegnanti al rischio di provare un senso di fallimento con maggiore probabilità rispetto a chi, invece, mantiene una distanza nei confronti della professione. Più sono coinvolto e più il fallimento mi crea un disagio enorme e per questo le donne hanno un profilo più a rischio”.

 Cosa si può fare per aiutarli?

“L’Onsbi vuole realizzare una ricerca partecipata, che preveda la partecipazione attiva delle scuole non solo nel rispondere al questionario, nel partecipare a interviste e focus group, ma anche nel formulare le richieste. Dobbiamo fare ‘ricercazione‘- sottolinea la direttrice- e quindi anche formazione, perché deve esserci una restituzione alla scuola di quello che abbiamo preso e capito delle loro dinamiche. Fare formazione è la prima arma, l’insegnante che conosce i sintomi del burnout è un insegnante che ha strumenti in più per chiedere aiuto.

Vorremmo riuscire a diffondere la cultura della richiesta di aiuto che manca nella scuola- rivela la presidente del corso di laurea in scienze e tecniche psicologiche della Lumsa- in quanto spesso l’insegnate pensa di essere lui il problema e non l’attività professionale. Lo pensa in solitudine, nell’intimità delle piccole relazioni familiari o tra i colleghi, mentre stiamo parlando di un problema di ordine pubblico”.

In primis bisogna lavorare per una “cultura del benessere che aiuti a capire quali siano le fonti di stress, poi investire nella formazione. Sul piano pubblico e della Sanità pubblica dobbiamo riuscire ad incidere, in termini politici, sulla necessità di attenzionare il discorso dell’indennità professionale dovuta al burnout per garantire agli insegnanti la possibilità di staccarsi dall’attività professionale e di poter avere uno psicologo presente. A scuola non è ancora previsto come misura fondamentale- conclude Fiorilli-, è previsto al massimo come risposta ai bisogni degli studenti ma non degli insegnanti per aiutarli ad affrontare il loro vissuto”.

Fonte DIRE

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