Opinioni

Non si può affrontare la scuola senza il carico dei compiti a casa. Il contro-manifesto di Giorgio Luppi

Riceviamo e pubblichiamo la lettera del prof Giorgio Luppi indirizzata alla associazione Basta Compiti

“Egregi signori, ho avuto modo di assistere ad una delle vostre assemblee pubbliche e di seguire la vostra pagina Facebook e mi permetto di esprimere alcune considerazioni.

Se ho ben capito voi sostenete che nella scuola dell’obbligo i compiti a casa siano non sono inutili ma addirittura dannosi. La scuola dell’obbligo si estende dal primo anno della primaria al secondo anno delle superiori, un arco di tempo di dieci anni, durante i quali i bambini diventano ragazzi e il loro modo di essere cambia radicalmente così come cambiano gli argomenti e l’impegno richiesti a scuola. Generalizzare ed estendere a tutto questo arco temporale le vostre considerazioni mi sembra non realistico.

IL CARICO DI COMPITI A CASA

Se è vero che talvolta nella scuola primaria il carico dei compiti a casa, specialmente nelle scuole a tempo pieno, può essere eccessivo, è altrettanto vero che non si può affrontare una scuola superiore senza pensare di applicarsi anche a casa. Fra il troppo ed il niente esistono infinite possibilità e sicuramente ne esiste più di una che rappresenta un giusto equilibrio.

Il processo di apprendimento è denso di soddisfazioni ma lungo e faticoso, e, in gran parte, individuale. Non credo sia possibile apprendere senza fatica, affrontando in prima persona le difficoltà che nuovi argomenti possono presentare.

Cito l’insegnante di matematica delle medie dei miei figli all’assemblea di presentazione: “la matematica non si impara a scuola ma a casa facendo esercizi”. Parole sacre, che non valgono solo per la matematica e che condivido pienamente.

L’ESPERIMENTO

Proviamo a fare un esperimento: sostituiamo la parola “compiti” con la parola “esercizi”. Nessuno ha mai provato a suonare uno strumento musicale, a stare in equilibrio sui pattini, a centrare una porta con un pallone,  a parlare una lingua straniera, a risolvere una equazione, o un problema di fisica senza prima aver studiato la teoria e provato ad applicarla con esercizi? Più esercizi si svolgono e più si diventa abili, si accumula esperienza e di conseguenza migliora la padronanza della materia. Non è possibile raggiungere competenze accettabili senza la pratica e l’esercizio, per non parlare dell’eccellenza, che richiede applicazione costante e continuativa.  

Vanno benissimo sia lo studio che le esercitazioni a coppie o di gruppo ma ritengo che un momento in solitudine con un problema da risolvere o un teorema da dimostrare ed un foglio bianco ed una matita davanti siano indispensabili per mettere alla prova le proprie competenze e verificare quanto si è appreso. Chi non lo ha mai fatto non credo sappia cosa vuol dire studiare.

Secondo la vostra teoria tutti quelli che ora esercitano le professioni di medico, di avvocato di ingegnere o che insegnano nelle scuole e nelle università e che hanno studiato con metodi tradizionali e che per raggiungere tali risultati si sono impegnati con tanti esercizi hanno sbagliato tutto? Se devo farmi operare da un chirurgo spero che abbia fatto davvero tanti esercizi e compiti a casa.

In conclusione ritengo che la giusta quantità e qualità di compiti a casa sia un mezzo indispensabile per supportare un processo di apprendimento davvero completo e soddisfacente pertanto propongo il mio contro-manifesto:

 

  1. sono inutili:


    le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate, a comando (interrogazioni, verifiche…), hanno durata brevissima; non “insegnano”, non lasciano il “segno” – dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione;  

– Vero, è necessario avere il tempo per assimilare e metabolizzare le nozioni, e la giusta quantità e qualità di esercizi è indispensabile per farle proprie

 

  1. sono dannosi:


    procurano disagi, sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria «naturale» inabilità allo studio;

– Come può fare uno studente in difficoltà a migliorare senza esercitarsi? La soddisfazione di risolvere un problema o un esercizio non può che aumentare l’autostima e la sicurezza nelle proprie competenze. Non confondiamo il disagio con la fatica, non c’è dubbio: studiare e’ faticoso e lo sarà sempre.

 

  1. sono discriminanti:


    avvantaggiano gli studenti avvantaggiati, quelli che hanno genitori premurosi e istruiti, e penalizzano chi vive in ambienti deprivati, aggravando, anziché “compensare”, l’ingiustizia già sofferta, e costituiscono una delle ragioni, più gravi, dell’abbandono scolastico;  

– Quindi togliamo anche a quelli che potrebbero esercitarsi l’opportunità di farlo e livelliamo tutti verso il basso. Costringiamo tutti i genitori premurosi e istruiti a diventare assenti e ignoranti.

 

  1. sono onerosi:


    spesso costringono i genitori a pagare lezioni private, se ne hanno la possibilità economica (ulteriore discriminazione), perché i figli facciano ciò che evidentemente non sono in grado di fare – un “affare” da milioni di euro, per di più in nero;

– Cerchiamo piuttosto di offrire recuperi gratuiti gestiti dagli stessi insegnanti e di far emergere il nero

 

  1. sono prevaricanti:


    ledono il “diritto al riposo e allo svago” (sancito dall’Articolo 24 della dichiarazione dei diritti dell’uomo), e quello scolastico è un “lavoro” oneroso, spesso alienante – si danno compiti anche nelle classi a tempo pieno, dopo 8 ore di scuola, persino nei week end;

– Se diritto al riposo e allo svago significa ore davanti a videogames o allo smartphone, penso sia meglio fare i compiti.

 

  1. sono impropri:


    costringono i genitori a sostituire i docenti; senza averne le competenze professionali, nel compito più importante, quello di insegnare a imparare (spesso devono sostituire anche i figli, facendo loro i compiti a casa);

– Affermazione contraddittoria: se i genitori non hanno le competenze come possono fare loro i compiti? Un genitore quindi non può insegnare ad imparare a suo figlio? Non può trasmettergli le sue competenze, se è in grado di farlo?

 

  1. sono limitanti:


    lo svolgimento di fondamentali attività formative che la scuola non offre (musica, sport…) e che richiedono tempo, energie, impegno sono limitate o impedite dai compiti a casa;  

– Quindi impegnare tempo, energia e denaro per la musica e lo sport va bene ma per la scuola no?

 

  1. sono stressanti:


    molta parte dei conflitti, dei litigi (le urla, i pianti, le punizioni…) che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento, meglio il tardivo o il mancato svolgimento dei compiti, quando sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere insieme, serenamente;  

– Sono stressanti se affrontati nel modo sbagliato: anche condividere col proprio figlio un momento educativo può essere appagante e di crescita per entrambi

 

  1. sono assurdi:


    si danno persino i “compiti per le vacanze”: un ossimoro, un assurdo logico (e pedagogico), giacché le vacanze sono tali, o dovrebbero esserlo, proprio perché liberano dagli affanni feriali e invece si trasformano in un supplizio, creando stress, sofferenza, insofferenza;

– In tre mesi di vacanze è molto facile dimenticare quanto si è appreso durante l’anno scolastico, senza un minimo di esercizio bisogna ripartire da zero.

 

  1. sono malsani:


    portare ogni giorno zaini pesantissimi, colmi di quadernoni e libri di testo, è nocivo per la salute, per l’integrità fisica soprattutto dei più piccoli, come dimostrato da numerose ricerche mediche.

– Cosa c’entra il peso dello zaino da portare a scuola con i compiti da fare a casa?  In ogni caso esistono alternative ai libri di testo, effettivamente troppo pesanti, vedi per esempio: www.bookinprogress.org

E, per finire, una citazione dalla scrittrice Paola Mastracola:

Lo studio è, ancora, inevitabile. Per quanto gli insegnanti si producano in performance sempre più accattivanti; i saperi si esternalizzino; le scuole si dotino di LIM, DVD, app, wi-fi e bluetooth; per quanto limiamo asperità e livelliamo strade azzerando ogni sorta di difficoltà; per quanto puntiamo al saper fare e alle competenze e al problem solving, e non più al sapere; ebbene, c’è sempre un momento in cui lo studente deve mettersi a studiare: piazzarsi seduto, aprire un benedettissimo libro, e starci sopra parecchio, e anche parecchio concentrato e attento. Che sia una semplice verifica, un’interrogazione virtuale, un esonero all’università, un test di ammissione per la Normale di Pisa o l’assunzione presso una ditta di surgelati, a un certo punto della vita i ragazzi dovranno dimostrare di sapere qualcosa. Quindi dovranno, bene o male, poco o tanto, studiare.

Non abbiamo ancora inventato sistemi alternativi, grazie ai quali evitare lo studio, questo spiacevole disagio, questo disturbo, percorso a ostacoli, noiosissimo impiccio che intralcia, deprime, sporca leggermente il meraviglioso luna park che pensiamo debba essere la vita. A un certo punto dobbiamo scendere dalla giostra dei cavallini e studiare: intollerabile! Non ci piace per niente.”

Buono studio a tutti, Giorgio Luppi

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