Opinioni

Ammaniti: “Con genitori assenti o complici i ragazzi credono di poter far tutto, senza vergogna nè senso di colpa”

“Quello che sta succedendo è che il gruppo degli adolescenti, di coetanei sta diventando sempre più importante. Il baricentro della vita dei giovani diventa il gruppo, la famiglia sta perdendo peso”. A parlare e Massimo Ammaniti, psicoanalista e docente di Psicopatologia dello sviluppo alla facoltà di Medicina e Psicologia della “Sapienza”. Padre del noto romanziere Niccolò, Ammaniti è autore del recente volume “Adolescenti senza tempo”.

Sentito dall’HuffingtonPost, lo studioso commenta i fatti di cronaca nera delle ultime settimane, in particolare quelli di Manduria e Viterbo. Ammaniti rintraccia una possibile matrice comune nelle nuove dinamiche che spingono i ragazzi a identificare nel gruppo di amici la propria zona di appartenenza. Più che nella famiglia o nella scuola.

Ammaniti: crisi di identità e branco

“Per gli adolescenti – spiega lo psicologo – è fondamentale avere un riconoscimento da parte dei coetanei e facilmente il gruppo diventa complice. “Gli adolescenti – prosegue – devono affrontare la crisi di identità che si verifica con l’ingresso in adolescenza, la maturazione fisica e sessuale, il distacco dal mondo infantile. Il gruppo diventa perciò luogo sicuro, un ombrello sotto cui gli adolescenti costruiscono questi rapporti di complicità”.

Il gruppo, quindi, diventa una “comfort zone” nella quale i ragazzi cercano conferme.” Prima di tutto il gruppo in qualche modo deve riuscire a fugare le ansie e le preoccupazioni: problemi riguardo alla sessualità, sono capace o non capace, potente o impotente. Secondo è un periodo in cui ci sono alti e bassi emozionali, paura di poter impazzire, di perdere equilibrio. Terzo aspetto è che in questa situazione quello che è cambiato è il narcisismo degli adolescenti: la necessità di mostrarsi, essere riconosciuti dagli amici”.

Omologazione e aggressione del diverso

Il problema si pone quando il gruppo diventa un luogo di omologazione così granitico da respingere – o addirittura attaccare – qualsiasi forma di diversità o alterità rispetto ad esso.

“Succede – chiarisce Ammaniti – che in questi gruppi le persone fragili sia interne che esterne, le persone che non corrispondono a certi criteri, che sia l’extracomunitario, il gay, la donna, vengono viste come possibili minacce alla sopravvivenza del gruppo stesso”. In altri termini. il problema risiede nel fatto che i ragazzi “hanno un identità rigida: per cui tutto quello che mette in crisi la loro identità suscita in loro l’istinto del branco”.

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Alla giornalista che gli chiede se la logica del branco, che non riconosce e quindi attacca le alterità, corrisponde anche al mutato rapporto tra genitori e scuola, Ammaniti risponde in termini negativi. “In quel caso il figlio, sempre più spesso unico, è considerato il capitale familiare. I genitori devono difenderlo contro gli insegnanti: se va male non è colpa del figlio, ma degli insegnanti che non lo valorizzano. Anche in questo caso è come se i genitori non potessero accettare la debolezza del figli. Diventa un meccanismo paranoideo: sono gli altri il pericolo”.

Quindi la famiglia non è responsabile di queste nuove dinamiche violente? Al contrario, lo è in grande misura.

Il ruolo della famiglia

“E’ venuta meno l’autorità delle famiglie, i genitori non sono più in grado di affrontare il conflitto con i figli, diventandone complici. Non a caso, il padre del presunto stupratore di Viterbo consiglia al figlio di buttare il telefonino: hanno perso qualsiasi responsabilità genitoriale”.

In questo contesto, conclude Ammaniti, “se i genitori abdicano al loro ruolo, alle loro responsabilità, viene meno la guida dei figli, il riconoscimento di quello che si può fare e quello che non si può fare. Non esiste più la colpa, la vergogna: come se fossero state sdoganate, per cui tutto si può fare”.

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