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Isabella Milani: “Non esiste la didattica perfetta ma esiste quella sbagliata”. L’INTERVISTA

Isabella Milani, esperta del rapporto fra Scuola, Società ed educazione è autrice di “L’arte di insegnare” e “Maleducati o educati male?”, entrambi pubblicati da Vallardi. Il suo sito è Isabella Milani online.

 

Sempre più spesso si propongono metodologie didattiche nuove, che spesso provengono da altri Paesi. Tutta questa innovazione è necessaria?

Troppo spesso si lanciano novità che nella pratica sono inattuabili o che a volte non sono neanche novità. Tutte le riflessioni didattiche sono utili, fermo restando il fatto che devono essere pensate per il tipo di scuola e di società in cui si vive.  Ogni governo che cambia si mette in mente di riformare la Scuola, imponendo “novità” e nuova terminologia, che spesso non è altro che la rifrittura di idee vecchie.  Non esiste la “didattica perfetta”, valida per tutte le situazioni, per tutti gli insegnanti e per tutti gli alunni. Ma esiste la “didattica sbagliata”, che è quella che viene proposta (e spesso imposta da chi governa) senza tenere in alcun conto né la tipologia di scuola, né l’ambiente socioculturale in cui gli insegnanti operano, né le risorse umane ed economiche, spesso carenti o mal distribuite. La “didattica sbagliata” è quella di ogni docente che pretende di insegnare allo stesso modo per tutta la carriera e con tutte le classi. Nessun insegnante dovrebbe ripetere ogni anno invariate lo stesso metodo didattico, pensando che esista solo una possibilità (quella che ha imparato all’inizio della carriera, o quella che gli viene proposta o imposta come soluzione per tutti i problemi). Non esistono due ragazzi uguali, né due classi uguali. Come può esistere un modo di insegnare o una lezione uguale per tutti? Ogni insegnante deve mettersi in discussione ogni anno: questa è la vera innovazione.

Qual è allora, secondo te, la “lezione ideale”?  

In estrema sintesi. La “lezione ideale” è quella che parte dallo studio della classe nell’insieme e dai singoli alunni in particolare che abbiamo davanti. Non per riempire le scartoffie che ci vengono chieste, ma proprio per capire lo stato di salute educativo e culturale dei bambini e dei ragazzi e per somministrare le medicine più efficaci a curare, o gli integratori più utili a mantenere o migliorare lo stato di salute.

E siccome gli alunni sono sempre diversi, la nostra didattica deve cercare i bisogni per poi individuare le strategie migliori.

La “lezione ideale” è quella che sa immaginare le domande che gli alunni potrebbero farci, prima che venga loro voglia di farcele, e imposta il discorso in modo da incuriosirli, da interessarli e infine da spingerli a fare quelle domande. Proporre le risposte senza far venire loro il desiderio di sapere è una strada poco proficua e molto spesso destinata all’insuccesso.

Telecamere in classe. Sei favorevole?

Sono contrarissima all’idea delle telecamere perché parte dal presupposto che ogni insegnante – nessuno escluso – può essere una persona violenta, e questo è intollerabile. Mettere le telecamere significherebbe togliere definitivamente agli insegnanti ogni considerazione sociale. L’insegnamento è un lavoro che consiste nell’occuparsi degli alunni e nel tutelare la loro sicurezza psicofisica. Ed è questo che gli insegnanti fanno. A parte l’assurdità dell’idea stessa: in Italia sono quasi 3milioni e mezzo gli alunni che frequentano la scuola dell’infanzia e la scuola primaria, e di questi più di 110mila sono bambini con disabilità. Solo considerando le scuole statali. Sottraete a questi numeri i casi di insegnanti violenti e bambini fatti oggetto di violenza nelle scuole statali, e vi restano quanti insegnanti e quanti bambini non hanno bisogno di telecamere. E noi dovremmo installare in tutte le classi una telecamera? Lo trovo ingiusto e assurdo. Trovo più logico che si diffonda l’idea che tutti gli insegnanti e soprattutto i dirigenti devono essere ritenuti responsabili penalmente dei reati che avvengono nella scuola di appartenenza: non è possibile che nessuno senta urlare insegnanti e bambini, che non senta piangere, che non colga nessuna parola violenta. “Non lo sapevo” non può essere una giustificazione.

Il rapporto scuola-famiglia appare sempre più compromesso. C’è ancora un modo per salvarlo?

Il rapporto insegnanti genitori è molto difficile perché la società porta i genitori a non fidarsi degli insegnanti, e a educare i figli in un modo molto diverso da quello che serve per studiare e impegnarsi. Ho scritto tutto un libro su questo, “Maleducati o educati male?”.

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