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Come è possibile che una scuola non si ponga il problema di come una iniziativa didattica si inserisca nel contesto storico-politico nel quale viene immessa?

Come è possibile che una scuola non si ponga il problema di come una iniziativa didattica si inserisca nel contesto storico-politico nel quale viene immessa?

E’ questa la domanda drammatica ed  è  questo ciò che è successo al Liceo di Aulla, in una scuola che ha fatto

dell’adesione alla metodologia didattica del “debate”  uno dei suoi cavalli di battaglia: due squadre di ragazzi

devono discutere (indipendentemente dal loro personale pensiero)  di una problematica data e vince la squadra

che saprà argomentare meglio, seguendo alcune regole che vengono insegnate agli studenti.

Qualcosa ci sarebbe anche da dire su questa  metodologia così gettonata, in cui i ragazzi, per avere un voto nella

gara, devono solo mettere in mostra abilità dialettiche, come se si fosse a una scuola di “politici da TV”, capaci di

dire tutto e il contrario di tutto, l’importante è persuadere il pubblico presente, così come qui è importante

vincere le gare provinciali, regionali e nazionali che daranno prestigio alla scuola.

Un “debate” senza valori, basato sul pensiero dicotomico così caro al neoliberismo.  La vicenda del liceo di Aulla

mostra drammaticamente che la scuola pubblica italiana è stata sopraffatta da un’ideologia neoliberale di cui

sono responsabili tutti, destra e sinistra, anche quella certa sinistra che oggi grida al revisionismo storico e che

forse farebbe meglio a riflettere sulle politiche neoliberali che ha messo in essere.

Questa volta gli studenti avrebbero dovuto dibattere sul tema del 25 aprile: “Noi riteniamo che non sia più

opportuno che il 25 aprile venga celebrato come festività nazionale” e la scuola è stata attaccata per revisionismo

storico, se non per prossimità con le dichiarazioni di diversi ministri dell’attuale governo.

Al liceo Leopardi di Aulla non è andata in scena una operazione revisionista, di questo va dato atto, ma si è

palesata la miseria in cui è caduta la scuola italiana, qualcosa che sarebbe potuto succedere ovunque; una scuola

tutta concentrata su se stessa, sulle metodologie, sui  suoi risultati visibili e misurabili (meglio se in concorrenza

con altre scuole) e incredibilmente incapace di prevedere che un dibattito di questo tipo si sarebbe inserito nel

clima politico del paese, dove per la prima volta abbiamo una presidente del consiglio proveniente dalla storia

politica del fascismo, dove il presidente del Senato mette pubblicamente in discussione il valore antifascista del

25 aprile.

Non ha riflettuto la scuola su come tale iniziativa sarebbe stata accolta entusiasticamente dai veri revisionisti?

Ancora più grave che questa inopportunità, questa superficialità si manifesti in un territorio come la Lunigiana,

sulla Linea Gotica, dove i fascisti insieme ai nazisti si macchiarono di crimini orribili, dove vivono i discendenti di

donne e uomini inermi che furono trucidati a centinaia nelle nostre piazze, nei nostri campi, nelle nostre stalle.

E ancora: come è possibile che si svolga un’iniziativa con un titolo così doloroso nelle sale pubbliche del

Consiglio Comunale? E’ una scuola che sembra avere smarrito la propria funzione sociale primaria, una scuola

che fa della metodologia a scapito dei contenuti il proprio fulcro e che in modo così sconcertante perde il senso

della realtà.

E invece, nonostante la scuola sia travolta dalla cultura del progetto e della superficialità, è ancora un presidio vivo e pulsante nella società italiana e le sue azioni e scelte vengono giustamente giudicate dalla collettività.

Prima di rincorrere premi e metodologie di cui ci si può anche innamorare, la scuola ha il compito primario di essere un presidio di cultura, di formazione civica per gli studenti e le studentesse, e non può, non deve sottovalutare il peso che, nonostante tutto, viene ad essa conferita dalla comunità in cui è inserita.

Parlare di antifascismo è un dovere per i docenti italiani, e derubricare questo dibattito a “tecnica retorica” è una non lieve disattenzione e sottovalutazione, anche didattica;  che sarebbe successo se la squadra contraria alla ricorrenza avesse vinto la gara? Non è sempre tutto uguale, non ci sono solo le “metodologie didattiche”, ci sono i valori che la scuola pubblica deve incarnare e saper trasmettere.

Confidiamo che in queste ore il Liceo di Aulla abbia deciso di annullare l’iniziativa in questione ed invitiamo i colleghi di ogni scuola italiana ad aprire una seria riflessione sulla funzione sociale della scuola, in modo da evitare che sia poi la realtà a dare lezioni di questo tipo.

                                   Per i COBAS SCUOLA

                                                                                         Prof.ssa Serena Tusini

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