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La mia prima esperienza nella scuola dell’infanzia è stata in un piccolo paesino, un villaggio di poche anime

L’esperienza di una nostra lettrice:

La mia prima esperienza nella scuola dell’infanzia è stata in un piccolo paesino, un villaggio di poche anime.

Appena entrata in sezione (giovanissima, fresca di laurea in materie letterarie ), mi colpì un bambino e la sua mamma .
Andrea (nome fittizio) si era seduto su una panchina come se fosse già stanco di tutti quei bimbi che giocavano, urlavano, ridevano, piangevano.
Lui era tranquillo, serio silenzioso e fissava il soffitto impietrito.
La sua mamma invece mi raccomandava di stare attenta soprattutto agli altri bambini :avrebbero potuto prenderlo in giro, spingerlo, fargli male.
Il suo bambino era un “bambino particolare” e la sua condizione si chiamava autismo.
Mi sentivo morire al cospetto di tanta responsabilità : io che conoscevo poco il mondo dell’autismo; mi scoppiava la testa difronte al timore della mamma vedendomi così giovane e un po’ inesperta.
Dopo l’ennesima raccomandazione ,la mamma andò via lasciandomi sola con il bambino muto, apatico.
Avrei voluto che piangesse che si schiodasse da quella panca iniziando così ad integrarsi con gli altri, a giocare e litigare con gli altri.
Ad ogni modo cercai di riprendermi e fare qualcosa.
Ero inesperta ma conoscevo l’empatia, l’amore(anche se poi ho imparato che solo questo non basta)
Presi coraggio, lo condussi in Sezione
Il bambino mi stringeva la mano per paura di essere abbandonato da un momento all’altro. In sezione Andrea prese un gioco senza curarne i particolari e non si accorgeva dei compagni che cercavano di farlo parlare…lo guardavano con interesse e mi chiedevano se ci vedesse, giacché aveva lo sguardo sempre in basso, fisso in un punto.
Giunse il momento della colazione : i bambini si sedettero al proprio posto mentre Andrea continuava a girare su se stesso e si batteva fortemente il petto con atteggiamenti stereotipati.
Con calma cercai di farlo smettere e di farlo sedere sulla sua seggiolina. Appena riuscita, il tavolo divenne un lago di acqua mista a biscotti sbriciolati: tutto rovesciato in terra.
Mi convinsi che era veramente dura: non sarei mai riuscita a gestire un bambino così bisognoso di attenzione . Io ero alla mia prima esperienza lavorativa (provenivo tra l’altro da altri studi…laurea in lettere)
Fuori in giardino i bambini, vocianti e zompettanti, si rincorrevano, salivano e scivolavano giù per lo scivolo dando sfogo alla loro allegria…alla loro gioia.
Andrea rimaneva ancorato alla mia mano senza né vedere né sentire quello che accadeva intorno.
Il suo strano comportamento suscitò l’interesse di altri bambini, che increduli, si chiedevano perché avesse il ciuccio e ancora il pannolino e lo sguardo altrove.
Ottime alleate al mio scoramento , di fronte al mutismo del piccolo, furono delle bambine che con tanta tenerezza lo presero per mano e lui si lasciò condurre.
Con loro Andrea si sedette a tavola per il pranzo mangiando tutto in un baleno .
Mi dissi che era dura ma non impossibile: pasticciò a tavola, su un foglio….ma mi accorsi di un flebile sorriso, quasi una bellissima smorfia. Che gioia Provai!
Aveva movimenti coattivi, batteva dappertutto…e allora mi venne un idea: farò ballare tutti al ritmo del battito delle sue mani.
Il salone divenne una sala da ballo: tutti danzavano e cantavano mentre Andrea mostrava il suo sorrisino.
I bambini si divertivano e aspettavano il compagno con gioia.
Andrea “animatore della nostra scuola”
Ogni giorno canti e balli: la pecora nel bosco ,la nostra colonna sonora, il nostro inno per dare a tutti e soprattutto ad Andrea la possibilità di esprimersi.
Le emozioni vissute vedendo quel bimbo sorridere, fare un timido ciao con la manina, mi accompagneranno sempre.
“Non ero più nella pelle” quando quasi per magia Andrea imparò a lavare le manine: apri il rubinetto delicatamente, metti un po’ di sapone, strofina le manine, sciacqua (ripetevo sempre la stessa litania e lui con me).
Lo sforzo di insegnargli qualcosa senza avere un riscontro immediato (c’è voluto molto tempo) mi aiutò molto: dovevo renderlo autonomo, capace di riconoscere se stesso e gli altri.
I progressi furono lunghi e faticosi per il bambino che continuava , sicuramente ad avere dei limiti, ma veniva a scuola con uno sguardo più vivo e solare.
Il tempo è passato, le soddisfazioni le ho avuto ma ho avuto tanti insegnamenti dal
piccolo ometto silenzioso che misi sul mio ❤
Andrea, con il tempo, il lavoro mio e di tutti, era riuscito a schiudere il suo guscio a far entrare un po’ di luce e a non sentirsi più prigioniero.

Rosanna Ambrosio

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