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Riaperture, uno spettro si aggira per l’Italia. Galli: “Mi preoccupa la scuola”

“Il rischio c’è”, dice il professore Massimo Galli, raccomandando “massima cautela”.

C’è uno spettro che si aggira per l’Italia prossima alla riapertura, un incubo che agita i sonni di qualche ministro e di più d’uno scienziato.

È il timore – scrive Luciana Matarese su Huffingtonpost – che a ripartire, con i ristoranti e i bar aperti sia pure nelle zone gialle “rafforzate” e gli studenti di ogni ordine e grado che tornano a scuola per l’ultimo mese dell’anno, sia anche la corsa del virus.

Cosicché, col numero dei contagi e l’incidenza in aumento, qualche settimana dopo la riapertura bisognerebbe tornare a chiudere. Il timore, insomma, è che, come è accaduto in passato, anche stavolta gli allentamenti non saranno definitivi.

“Il rischio c’è”, dice il professore Massimo Galli, raccomandando “massima cautela”. Il consiglio “ai decisori politici è di non fare fughe in avanti e, soprattutto, indicare date certe in modo da non costringere chi apre a dover richiudere”.

Per l’infettivologo, primario all’Ospedale Sacco di Milano, “far tornare tutti gli studenti in presenza è un errore”. Dice Galli: “Offrire prospettive positive e favorevoli,

e non sempre e soltanto disposizioni nel senso della chiusura, è fondamentale, ma non bisogna mai perdere di vista le evidenze scientifiche”.

I numeri, prima di tutto. Oggi lo scenario è in miglioramento – calano sia l’indice di contagio Rt (0,82) che l’incidenza (182 ogni 100.000 persone), diminuisce il livello generale del rischio – ma il numero dei morti (“tremila nell’ultima settimana”, sospira Galli) e quello dei contagi sono ancora troppo alti.

“Nel nostro Paese si contano oltre 510mila positivi, il 4 maggio dell’anno scorso erano 99.980 – fa notare l’infettivologo – considerando che si tratta di quantità sicuramente sottostimate, parlare di grandi aperture è una follia assoluta”.

Bisogna procedere con attenzione, “programmare ripartenze ragionate per evitare una risalita rapida della curva epidemica”.

Com’è successo in Sardegna, passata dalla zona bianca a quella rossa in poco più di un mese.

Per Galli quanto accaduto nella prima e per ora unica regione ad aver conquistato l’area di rischio più basso “è la dimostrazione che il sistema a colori applicato senza una valutazione accurata del contesto è fallimentare”.

Un caso “memento”, da tenere presente per focalizzare la direzione da non seguire, gli errori da non commettere ora che, via via, si riaprirà.

Intanto il calo di attenzione seguito agli allentamenti delle restrizioni, che, a suon di movida, assembramenti e feste private – tante ammesse da coloro che le hanno organizzate, alcune scoperte dalle forze dell’ordine –

in Sardegna ha determinato un’impennata dei contagi, in una settimana aumentati di oltre il 55%.

“Le riaperture – considera Galli – non vanno interpretate come un “liberi tutti”. Il rischio che possa diffondersi un sentimento errato di liberazione esiste e va scongiurato. Il virus non è scomparso, non dimentichiamolo. Anzi, oggi in tutto il Paese è prevalente la variante inglese, molto più contagiosa”.

Nessuna deroga al rispetto delle regole anti Covid, dunque. “Per riaprire ci vogliono condizioni adatte e discernimento”, va avanti l’infettivologo.

E poi si deve insistere con la campagna vaccinale. I ritardi nell’attuazione del piano di immunizzazione rappresentano l’altro motivo del fallimento della zona bianca in Sardegna.

“La nostra campagna vaccinale è ancora insufficiente – spiega l’infettivologo del Sacco di Milano – Negli Stati Uniti hanno somministrato 198,3 milioni di dosi di vaccino pari a 59 dosi per 100 abitanti.

La Gran Bretagna ne ha somministrate 40,9 milioni, ossia 60 dosi per 100 abitanti. Da noi ne sono stati fatti 14,2 milioni cioè 23,5 dosi per 100 abitanti. Siamo indietro.

Vaccinare molto rapidamente e bene, ovviamente partendo da anziani e fragili, non solo fa diminuire il numero di morti e ricoveri, alleggerendo la pressione sugli ospedali, ma riduce anche la circolazione del virus”.

Ecco perché, a maggior ragione adesso che si va verso la riapertura progressiva, considerando che “il tasso di vaccinazione è ancora basso e la gran parte dei 70anni non ancora immunizzata e quindi al sicuro”, si deve accelerare.

Si guarda al Regno Unito, che dopo la vaccinazione a tappeto sta ripartendo. In uno dei suoi ultimi interventi in televisione, riferendosi alle riaperture in Italia,

Galli ha ricordato una dichiarazione recente del primo ministro britannico Boris Johnson: “I numeri stanno scendendo.

Ma è importante che tutti capiscano che il calo non è dovuto al programma di vaccinazione, ma al lockdown. Con le riaperture, inevitabilmente vedremo più contagi e purtroppo anche più ricoveri e morti. La gente deve comprenderlo”.

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