Bambini che, dopo il Covid, finiscono in rianimazione perché colpiti da una complicazione, cioè da quella che
viene chiamata sindrome di Kawasaki, malattia di natura infiammatoria che colpisce i vasi sanguigni. Rispetto alla
prima ondata della primavera, i casi sono quadruplicati. L’allarme lo lancia Gian Vincenzo Zuccotti, preside della
facoltà di Medicina dell’università Statale di Milano, primario dell’ospedale pediatrico Buzzi. “In primavera
avevamo avuto una decina di casi in tutto, da ottobre a oggi siamo già a 40 ricoveri in terapia intensiva – spiega – .
Si tratta di piccoli che hanno contratto il virus e che non sono più positivi, ma che improvvisamente manifestano a
tre settimane dall’infezione una sindrome infiammatoria multisistemica che necessita il ricovero in rianimazione per
curare gli aspetti che si possono presentare nel quadro neurologico, cardiologico o nell’apparato gastrointestinale”.
Come riporta Repubblica.it, in effetti anche gli specialisti dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo avevano
notato la concomitanza delle due malattie e sottolineato come dai 19 casi rilevati in cinque anni dal febbraio
2015 al febbraio 2020, in appena due mesi dal 18 febbraio scorso al 20 aprile, in concomitanza con la pandemia,
le diagnosi di sindrome di Kawasaki erano aumentate di trenta volte. A esserne colpiti sono stati bambini
contagiati da Sars- CoV- 2.
“Nei bambini il decorso del Covid è generalmente meno grave, ma è bene sapere che alcuni di loro possono
sviluppare in concomitanza la malattia di Kawasaki” , ha spiegato Lorenzo D’Antiga, direttore dell’unità operativa
di pediatria e coordinatore del primo studio che descrive l’incremento delle vasculiti tra i piccoli pazienti
contagiati dal coronavirus. Al Buzzi di Milano, dove si trova l’unica Terapia intensiva pediatrica della Lombardia,
confluiscono bambini colpiti dalla sindrome in tutta la regione, con un aumento di casi nelle ultime settimane che
preoccupa Zuccotti (che era stato anche in ballo per sostituire l’assessore al Welfare Giulio Gallera). Rimasto al
suo posto di clinico, il professore spiega che non sono casi frequenti, ma che quando la problematica è presente,
si tratta di cosa molto seria. “Abbiamo ricoverato i bambini e fortunatamente li abbiamo salvati tutti, ma la
questione va approfondita”.
Zuccotti col suo team sta anche studiando l’incidenza dei contagi sulla popolazione under 18 e sta notando un
aumento dei casi in coincidenza con il montare della curva epidemica: se a settembre dei 3 mila ragazzi
sottoposti a screening si era rilevato un tasso di positività pari al 3 per cento, prima di Natale, su un campione
analogo – anche se sono stati analizzate ancora solo la metà delle provette – risulta che i positivi siano saliti al 13
per cento. Un bel balzo, che rispecchia come il virus stia circolando molto anche fra i bambini e gli adolescenti,
che qualcuno pensa siano immuni dal contagio. Dati che del resto anche Ats Milano ha confermato più volte, con
gli screening a tappeto fatti nelle scuole, fino a quando sono state aperte tutte. “Sarebbe ora il caso di dare il via ai test con i tamponi salivari che sono più affidabili dei tamponi rapidi – lancia l’appello Zuccotti – sono meno invasivi e ci consentirebbero di avere risultati chiari, evitando code e risparmiando anche personale sanitario che in questi giorni è più utile mettere sui vaccini”.