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Il dolore dei bambini alla Via Crucis, il Papa gli affida le letture: “Le scuole, i nonni…”

Come lo scorso anno la Celebrazione si è tenuta sul sagrato della basilica di San Pietro.

Papa Bergoglio ha affidato la preparazione delle meditazioni per la Via Crucis del Venerdì santo ai bambini del Gruppo Scout Agesci “Foligno I”, in Umbria, e alla parrocchia romana Santi Martiri di Uganda.

«Caro Gesù, Tu sai che anche noi bambini abbiamo delle croci, che non sono né più leggere né più pesanti di quelle dei grandi, ma sono delle vere e proprie croci, che sentiamo pesanti anche di notte. E solo Tu lo sai e le prendi sul serio. Solo Tu».

Confusi e smarriti da questo anno-incubo di pandemia, mascherine, quarantene, nonni che se ne sono andati per sempre, scuole chiuse, Dad, nostalgia dei compagni di classe – scrive La Stampa – si presentano così i bimbi e i ragazzi del Gruppo Scout Agesci «Foligno I», in Umbria, e della parrocchia romana Santi Martiri di Uganda. A loro Papa Francesco ha affidato le meditazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo, raccolte e pubblicate dalla Libreria Editrice Vaticana in vista della Celebrazione in mondovisione di dopodomani.

Il percorso doloroso di Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota rivissuto, come nel 2020, sul sagrato di San Pietro, e non al Colosseo. Le parole semplici e profonde dei bambini scandiscono le 14 Stazioni della Passione di Cristo.

Con la certezza che «soltanto Tu, Gesù, sai quanto è difficile vedere i miei genitori litigare e sbattere forte la porta e non parlarsi per giorni. Essere preso in giro dagli altri e venire escluso dalle feste. Essere povero e dover rinunciare a quello che hanno i miei amici». E questo anche perché «Tu sei stato bambino come me, anche Tu hai giocato e forse sei caduto e ti sei fatto male».

Perciò, i piccoli chiedono aiuto per «portare le nostre croci come Tu hai portato la tua». Per diventare «sempre più buoni». E dicono un forte grazie: «Perché so che mi stai sempre vicino, soprattutto quando ho più paura».

“Con tute e maschere hanno portato via il nonno”. La sofferenza vista dall’età dell’innocenza

«Dall’ambulanza sono scesi uomini che somigliavano ad astronauti, coperti da tute, guanti, mascherine e visiera, hanno portato via il nonno che da qualche giorno faticava a respirare. È stata l’ultima volta che ho visto il nonno, è morto pochi giorni dopo in ospedale, immagino soffrendo anche per la solitudine. Non ho potuto stargli vicino fisicamente, dirgli addio ed essergli di conforto».

«Nell’ultimo anno con la famiglia non abbiamo più fatto visita ai nonni; i miei genitori dicono che è pericoloso, potremmo farli ammalare di Covid. Mi mancano! Così come mi mancano le amiche della pallavolo e gli scout. Spesso mi sento sola. Anche la scuola è chiusa, prima a volte ci andavo mal volentieri, ma ora vorrei solo tornare in classe per rivedere i compagni e le maestre. La tristezza della solitudine a volte diventa insopportabile, ci sentiamo «abbandonati» da tutti, incapaci di sorridere ancora».

«Poco tempo fa, dopo aver trattato l’argomento in classe, ho scritto un tema sui bambini vittime di mafia. Mi chiedo: come si possono compiere azioni così terribili? È giusto perdonare queste cose? E io, sarei in grado di farlo?».

«In classe, leggevamo a turno il libro La gabbianella e il gatto. Quando fu il turno di Martina, lei iniziò a confondere le lettere una con l’altra e così le frasi persero di significato. Parola dopo parola iniziai a ridere e con me tutti gli altri. Ricordo ancora Martina tutta rossa in volto, la voce rotta e gli occhi pieni di lacrime. Forse non era nostra intenzione deriderla, eppure quanto dolore le abbiamo provocato con quelle nostre risate! A volte far soffrire qualcuno ci può aver causato un po’ di piacere, perché dietro quelle sofferenze abbiamo mascherato i nostri stessi disagi. Dobbiamo essere disposti a tutto per non fare male agli altri, anzi, per fare loro del bene».

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