Parole in disuso. “Escrologia”: origine e significato del termine che conoscono pochissimi studenti (e prof)
Il termine “escrologia” deriva dal greco e indica generalmente un trattato, dissertazione o discorso connotato da termini osceni. O, addirittura, incentrato su temi ai limiti del pudore. La parola è la fusione di due termini del greco antico: αἰσχρός (aischros, osceno) e λόγος (logos, discorso, parola).
Secondo quanto riporta Academic Dictionary and Encyclopedias; si tratta del termine corrispettivo di turpiloquio (la variante di derivazione latina che prevale nell’italiano parlato): Un linguaggio che il lettore o l’ascoltatore giudica scurrile, o ambiguamente allusivo, ma anche espressione di un cattivo accostamento di parole quale, ad esempio, la continua ripetizione di sillabe uguali; la fastidiosa sensazione sonora può essere provocata da un eccessivo e rimarcato utilizzo delle allitterazioni.
Escrologia: è giusto parlarne
Per quanto possa sembrare disdicevole utilizzare simili discorsi, e addirittura una parola specifica per identificarli, l’escrologia ha giocato un ruolo importante nella letteratura classica. Il commediografo greco Aristofane, ad esempio, faceva ampio uso di un linguaggio scurrile, triviale ma inserito nel suo contesto. Stesso dicasi per i latini Marziale, Catullo e – soprattutto – Petronio. Nelle cui opere il turpiloquio è stato un elemento chiave della cifra stilistica.
A livello didattico, peraltro, è consigliabile lasciare un piccolo spazio anche all’escrologia. Cosa c’è di meglio di una bella lezione di latino e greco sulle “parolacce” usate nei grandi classici per rintuzzare l’attenzione dei discenti?
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