Cronaca

Droga e sedativi nel biberon della figlia, assolta perché il fatto non sussiste

Assolta dall’accusa di tentato omicidio perché il fatto non sussiste. E’ la decisione dei giudici della V sezione penale del Tribunale di Roma. Dopo quasi tre ore di Camera di Consiglio nei confronti della donna napoletana di 31 anni. Accusata di aver tentato di uccidere la figlia di tre anni, dandole per due volte droghe e sedativi con il biberon. Mentre la piccola si trovava ricoverata all’ospedale Bambino Gesù di Roma per dei controlli. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 12 anni e mezzo.

LA BIMBA

La bimba venne salvata grazie all’intervento immediato dei medici in entrambi i casi. Il fatto avvenne nel dicembre 2016 e la donna venne arrestata nel gennaio 2017. Per l’accusa, la donna aveva già tentato di avvelenare l’altra figlia più piccola, di appena un anno, mentre era ricoverata all’ospedale Santobono di Napoli e per questo il Tribunale dei minori le aveva tolto la potestà genitoriale. A Napoli per questa vicenda la donna è ancora sotto inchiesta.

I PM

I pm romani hanno ipotizzato che la donna possa essere affetta dalla sindrome di Munchausen, conosciuta anche come sindrome di Polle, un disturbo che affligge i genitori, soprattutto le madri, che per attirare attenzione su di sé non esitano ad arrecare danni ai figli, facendoli passare per malati. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il rapporto con il marito era in crisi e la donna potrebbe aver tentato di avvelenare la figlia per attirare l’attenzione dell’uomo e cercare di mantenere il rapporto con lui.

IL TRIBUNALE

“Il tribunale di Roma ha saputo valutare i fatti in modo oggettivo” dice all’AdnKronos l’avvocato difensore della donna Domenico Pennacchio del foro di Napoli. “Le tracce di benzodiazepine trovate nelle urine derivano da un trattamento farmacologico che era stato somministrato alla bimba quando era ricoverata all’ospedale Santobono di Napoli”. Alla lettura della sentenza la 31enne, che si trovava ai domiciliari è scoppiata in un pianto liberatorio. La difesa si è avvalsa della collaborazione del professor Enrico Marinelli, medico legale dell’università La Sapienza di Roma e del tossicologo forense Giulio Mannocchi.

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