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Scrutini. Una prof: “Il quieto vivere e l’ipocrisia dei docenti fanno male alla scuola”

Negli scrutini “quante volte, davvero, un consiglio di classe si spende effettivamente per analizzare a fondo la situazione di uno studente?”. E’ una domanda provocatoria quella lanciata da Maria Sofia Rossi, docente di Lettere nelle scuole superiori, in un editoriale per IlSussidiario.net.

La prof, reduce come tanti altri insegnanti dagli scrutini di fine anno, tenta di analizzare le operazioni di valutazione del profitto dall’interno. Un’operazione che – secondo la normativa – deve essere globale e collegiale. “Altrimenti -spiega Rossi – per fare gli scrutini, basterebbe che ciascun professore del consiglio di classe compilasse la colonnina relativa alla sua materia sul registro elettronico, e poi il sistema provvederebbe da sé”.

Scrutini: tempo tiranno e altre difficoltà

Lo scrutinio, dunque, serve a dare un giudizio globale sul percorso di un intero anno scolastico e – nel caso dell’ultimo anno di un ciclo – di ben 5 o come minimo 3 anni. Ma ci sono fattori che spesso finiscono per inficiare la riuscita di questa operazione. “L’orologio – scrive la prof – impone tempi contigentati per i consigli e gli scrutini: a volte è un bene, per evitare il protrarsi all’infinito di stanche discussioni; ma altre volte, si avverte, soprattutto alle superiori, la mancanza di uno spazio di confronto fra docenti di una stessa classe, di un momento istituzionale e un po’ meno preda della tirannia del tempo dei consigli di classe nei tre-quattro momenti canonici extra scrutinio”.

Ma ci sono altri due spettri che si aggirano nelle sedi di scrutinio, pronti ad influenzare il lavoro dei docenti: l’ipocrisia e il cosiddetto “quieto vivere”.

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