Opinioni

Preside suicida. “Quando la professione viene uccisa da odio e solitudine”, la riflessione che tutti dovrebbero leggere

Il Preside suicida, Vittore Pecchini, ha lasciato un vuoto enorme enorme. Un vuoto che deve far riflettere. A questo proposito la lunga riflessione di Roberto Pellegatta su Il Sussidiario apre la strada ad  un confronto serio, importante. Riportiamo qui di seguito uno stralcio. CLICCA QUI PER LEGGERE L’INTERO ARTICOLO.

PRESIDE SUICIDA, LA RIFLESSIONE DI PELLEGATTA

Ma è proprio vero che occorre tacere sul tragico gesto di Vittore Pecchini? Terminata una regata tra istituti, era tornato nella sua casa al Lido di Venezia e, lì, ha deciso di farla finita, dopo aver telefonato alla propria compagna. Era preside reggente da un anno allo “storico” Liceo “Marco Polo” di Venezia e titolare da quattro anni del Polo tecnico professionale della città.

Certo, nessuna parola potrà mai rendere l’insondabilità del dramma interiore di un uomo, la cui solitaria sofferenza non può essere usata da nessuno, ma solo guardata con profonda umanità.

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Quella tragica morte non può passare invano. Anche nel suo Liceo ne saranno consapevoli.

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Il preside Pecchini, dai racconti, appare un uomo di cultura (parlava più lingue), di azione (era istruttore di vela e sub), conoscitore della macchina scolastica (a Venezia arriva dopo aver diretto quattro scuole italiane all’estero). Eppure nella sua sofferenza appare solo con sé stesso, stanco di conflitti: “Sono stanco, arcistufo: a scuola mi stanno attaccando tutti, genitori e docenti”, pare abbia detto pochi giorni prima di morire.

Purtroppo questa è una situazione diffusa: la scuola italiana è divenuta negli anni luogo di conflitti sempre più aspri, dove i rapporti possono diventare disumani al punto da rendere impossibile quella “comunità educante” che, paradossalmente poi, il sindacalese ha voluto come idea nelle testate del contratto scuola, ma idea poi ben lontana da molte pratiche di azione.

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Di quanta umanità ha bisogno la nostra povera scuola!

Per questo quelle arrivate dal Patriarcato di Venezia sono risultate parole vere: “C’è una fragilità sottile e diffusa, che colpisce tutti, giovani e adulti, studenti, docenti e genitori… C’è il bisogno di una speranza che non venga meno nel mare della solitudine, che sembra sommergere tante (troppe) volte il desiderio di una vita bella… Abbiamo bisogno di essere tenuti da una amicizia vera, un’amicizia che si faccia vicina nel momento del bisogno e che si traduca in una autentica alleanza tra tutti: genitori, insegnanti, dirigenti e studenti”.

E laddove si vive già questa “amicizia civile”, questa diventa fattore di speranza nella scuola, che inizia a vincere la disumanità che vi regna.

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