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Professoressa scrive a Salvini: “L’accostamento fatto dai ragazzi dovrebbe farla tremare”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera della professoressa Giusi Russo, docente di lettere del liceo scientifico di Palermo Benedetto Croce. La lettera è indirizzata al Ministro Salvini

Signor Ministro degli interni,
accostare le leggi razziali all’odierno decreto sicurezza é, fuor di dubbio, un azzardo, anzi una vera sciocchezza. Fin troppo vistosa é la sproporzione tra i due “eventi”, e certo non soltanto per plausibili ragioni di contestualizzazione. Una semplificazione. Di questo si é trattato. Riduttiva, inefficace come ogni semplificazione. Attaccabile? Certo. Discutibile? Altro che! Attaccabile da chiunque voglia sostenere un confronto stringente tra QUEL passato e QUESTO PRESENTE.

Discutibile per chi quel confronto sia in grado di innervare di lucide e argomentate proposizioni. E TUTTAVIA (c’è sempre un “tuttavia” che fa la differenza) non meno riduttivo e inefficace (restando su toni eufemistici) é il provvedimento che quella semplificazione ha inteso condannare come esempio di bieca partigianeria.

CI SI SCAGLIA CONTRO LA PROFESSORESSA, SI PERDONO DI VISTA GLI ALUNNI. Sono loro i veri protagonisti di questa incresciosa vicenda. Ascoltiamoli questi giovani che hanno scelto di giustapporre immagini così distanti nel tempo. Non liquidiamoli come ingenue personalità o come soldati pronti a marciare al passo scandito da altri. I nostri ragazzi sono molto di più di ciò che gli adulti affermano. Posseggono pensieri! Pensi, signor ministro! Posseggono pensieri. Questo è straordinario.

Si chieda perché, kantianamente liberi di pensare, essi abbiano pensato in “quel” modo. Perché in ogni semplificazione, anche in quella più sgangherata, c’è un nucleo di incontrovertibile verità. Un’intuizione, un olfatto che cattura, che sa dar conto del reale e delle sue più intime dinamiche. Un clima. Forse questo hanno percepito quei giovani e questo hanno voluto segnalare con la loro “folle”, “dissennata” synkrisis (immagino che lei abbia fatto il classico). Un clima surrettiziamente antidemocratico, la temperie subdola di un paese in cui striscioni di legittima protesta vengono rimossi, mentre altri, inneggianti il vecchio dux, rimangono lì, intoccati.

Un paese in cui si cerca di far passare per libertà di parola, quella che invece è solo barbarie linguistica, desolante bassa marea dove é possibile denigrare il tricolore e restare impuniti, postare che “la Costituzione è un libro di merda”, come ha fatto un docente, già segretario di Forza Nuova, e, parimenti, passarla liscia.

Mi creda, ministro: in quella ingenua, sgangherata, semplificazione c’è una voce che dovrebbe farla tremare. Venga qui, nella bella Palermo, per capirne il senso. Non serve incontrare l’insegnante, serve incontrare i ragazzi. C’è un ascolto, e noi insegnanti lo sappiamo bene, che vale molto più di tante parole. Si chiama ascolto profondo. Un vezzo antico, una pratica socratica che può sembrare di sinistra, e invece é solo umana. Implica sguardo verticale e accoglienza del libero pensiero, di qualunque segno esso sia. È scomoda ed esige pazienza, non tollera ira né imbellettate parole. Insomma uno sfinimento. Pensi quanta frustrazione ogni giorno un insegnante vive, sapendo di non potere insegnare nulla! Perché noi quel Socrate davvero lo stimiamo e nostro, autenticamente nostro, abbiamo reso il suo pensiero : “IO NON POSSO INSEGNARE NIENTE A NESSUNO, IO POSSO SOLO FARLI PENSARE.” (Socrate).

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