AperturaCronaca

Torturato a morte dal branco, una mamma: “Mi sento responsabile, cosa ho sbagliato?”

Torturato a morte dal branco, una mamma: “Mi sento responsabile, cosa ho sbagliato?” – di Silvia Mancinelli

“Mi sento responsabile io dell’assenza di umanità dimostrata da mio figlio anche solo per aver condiviso un video girato da altri. In casa viviamo male, non dormiamo. ‘Perché?’ mi chiedo, dove ho sbagliato?”. A parlare all’Adnkronos è la mamma di uno dei ragazzini il cui nome compare nell’inchiesta sulla morte di Antonio Cosimo Stano, il 66enne bullizzato dalla baby gang.

Un adolescente che, finito nel frullatore di investigatori e inquirenti, si è chiuso in camera e non esce. Ha compiuto 17 anni da poco, il ponte e le feste lo hanno graziato almeno dal rimettere piede a scuola perché, come assicurano i genitori, non avrebbe sopportato lo sguardo dei compagni, delle professoresse, la ripresa della vita normale come nulla fosse.

“Non abbiamo mai fatto passare liscia a nostro figlio una marachella, una mancanza di rispetto, una parolaccia in casa – continua la madre, stavolta in lacrime -. E’ stato sempre un ragazzino timido, all’apparenza ancora più piccolo della sua età al punto da non aver avuto ancora una fidanzatina. Lavoriamo entrambi, io e il padre, ma cerchiamo di essere presenti, attenti, scrupolosi nel controllarlo. Quando ho saputo di quei video passati per il cellulare che noi gli abbiamo comprato – continua la donna – all’inizio ho provato una gran rabbia; poi mi sono fermata e mi è venuto il panico. Perché mio figlio si è divertito anche solo a vedere quelle scene raccapriccianti? Perché ha sentito il bisogno di condividerlo con altri? Abbiamo sbagliato? Avremmo potuto fare meglio? Questi pensieri mi tolgono il sonno”.

La donna che si sfoga dopo una iniziale resistenza a parlare indossa ancora l’abito buono per la domenica a messa. Davanti al portone di casa si asciuga il pianto con le mani che poco prima erano indaffarate in cucina e quando il marito la raggiunge il racconto riprende più sottomesso. Quel padre è una sfinge. Non parla, annuisce quando non scuote la testa. Le afferra il braccio per rientrare solo quando gli viene chiesto dove sia il figlio.

“Non esce da mercoledì (il giorno dopo la morte di Stano ndr) – risponde la mamma prima di seguirlo – io non insisto. Deve capire che anche ridere di un uomo indifeso, tormentato per gioco, è grave”.

Leggi altre notizie su OggiScuola

Seguici su Facebook e Twitter

Articoli correlati

Back to top button