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Giovanni Ragone: “Così il ’68 ha cambiato profondamente la scuola italiana”

“Una vera riforma dell’università arrivò solo molti anni dopo. Il cambiamento fu nella scuola, con i decreti delegati del 1974. E la leva fu la sindacalizzazione degli insegnanti”. E’ questo in sintesi il pensiero espresso da Giovanni Ragone, sociologo e studioso di letteratura,  in un’analisi sugli effetti del ’68 per La Voce.info.

Il pezzo prende le mosse dall’opera “Il ’68 e l’istruzione”, una interessante raccolta di interventi a cura di Luciano Benadusi, Vittorio Campione e Roberto Moscati. Testimoni diretti di quello che fu il ’68 per la società e – soprattutto – per la scuola italiana.

Processo culturale e cambiamenti

“Uno dei pregi del libro – spiega Ragone – è l’invito abbastanza esplicito a distinguere, da un lato, i tratti del processo culturale di lunga durata e a dimensione internazionale. Fino alla rottura e alla messa in crisi della concezione intrinsecamente autoritaria delle forme di trasmissione della conoscenza su cui era stato disegnato storicamente il sistema. Dall’altro, il suo difficoltoso tradursi in cambiamenti sostanziali, negli ordinamenti e nelle forme della didattica”.

Quello del ’68, infatti, è stato uno strascico piuttosto lungo e diluito nel tempo. I cui risultati pratici sulla scuola italiana si sono visti solo a distanza di qualche generazione di studenti e insegnanti. Per questa ragione, infatti, Ragone sottolinea l’importanza di una “decisiva connessione generazionale”. La quale, nonostante profonde differenze tra i vari paesi, collegava tre fenomeni.

  • La fase effervescente di trasformazione (in tutto l’Occidente) negli anni Sessanta del “disgelo”, in termini di accelerazione e trasformazione dei linguaggi, dei consumi, dei media, con l’emergere dei giovani come soggettività culturale e sociale;

  • La comparsa, sorprendente per l’establishment, di movimenti studenteschi di rivolta che costellano un decennio “fluido” (Cavalli), a partire dal Free Speech Movement di Berkeley nel 1964, che solo in Italia si prolungano per tutti gli anni Settanta;

  • Le basi teoriche, in buona parte nuove, che si facevano strada nelle scienze sociali, intese in senso esteso (Birmingham, ma anche Chicago e Toronto; Edgar Morin, Roland Barthes e Pierre Bourdieu – suggerirei di rileggere i cataloghi editoriali di Einaudi, Feltrinelli e non solo).

La discrepanza tra didattica e politica

Da questo clima culturale fiorirono nuove pratiche di didattica – (da don Milani a Danilo Dolci) – che però la politica fece molta difficoltà a recepire e canalizzare.

“Inefficace e confusa – spiega Ragone – fu la risposta delle istituzioni educative, dei partiti e del riformismo parlamentare, nettamente separati dal paesaggio “di movimento” in cui per diversi anni si ritrovarono uniti in modo magmatico gli studenti, gli operai dell’ ‘autunno caldo’ del ’69, il sindacalismo dei consigli di base e di zona, le formazioni di una nuova sinistra radicale e la base dei partiti della sinistra storica.”

Per indagare questa rottura, dunque, l’opera sul ’68 e la scuola si avvale di alcuni contributi di personaggi come Luigi Berlinguer, Alessandro Cavalli, Enrico Pugliese, Giunio Luzzatto, Fiorella Farinelli.

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